martedì 21 aprile 2009

La resistenza non finisce mai






20 aprile, ore 17, parchetto del Giuriati.
Fischia il vento e infuria la bufera, nuvole nerissime si rincorrono
promettendo sfracelli vahttp://www.blogger.com/img/blank.gif
Aggiungi immagineri... eppure più di un centinaio di persone
sfidano le intemperie e raggiungono il Giardino della Resistenza che
viene inaugurato dopo il restauro delle lapidi a opera dell'ANPI di
zona 3.
Tre generazioni ( nonni, figli e nipoti ), si ritrovano per impedire
che la memoria possa venire cancellata, che il ricordo di chi ha
combattuto ed è morto per darci una società più libera e giusta possa
continuare a essere di stimolo per andare avanti.
Noi ci siamo con le bandiere della buona scuola e, naturalmente, con
torte e pane e cioccolata per i più piccoli ( e non solo ).
Ci siamo perché difendiamo la scuola pubblica di qualità, la scuola
garantita dalla nostra Costituzione nata dalla Resistenza.
Ci siamo perché la memoria è una parte importante del nostro lavoro
come docenti e come genitori.
Ci siamo perché ci riconosciamo negli occhi lucidi dei " ragazzi "
dell'ANPI che guardano i bambini che cantano Bella Ciao e non sanno
trattenere la commozione.
Fischia il vento e infuria la bufera ma, nonostante questo, è una
bella giornata.

martedì 14 aprile 2009

Il Tetto

Da Arcipelago Milan del 14/4/09o

IL TETTO
13-4-2009 by Viola
Il nuovo fronte delle battaglie ideologiche sulla scuola, che appassionano e ossessionano il ministro Gelmini, è costituito (si direbbe col linguaggio delle patrie battaglie) dalla quota 30. Infatti per salvare la scuola dalle orde barbariche dopo le classi ghetto (inattuabili) e dopo i maestri-spia (impresentabili) il ministro torna alla carica con una magica percentuale: in una classe di qualsiasi ordine di scuola mai ci dovrà essere più del 30% di ragazzi “stranieri”.
Si tratta, con tutta evidenza, di una sciocchezza, eticamente meno riprovevole delle due precedenti, ma ugualmente dannosa e foriera di gravi, inutili complicazioni per le famiglie e gli operatori scolastici. Infatti, stando alle prime indicazioni – ma è ormai chiaro che le disposizioni del MIUR non sono mai definitive, ma soggette a continui ripensamenti e variazioni – la “quota” varrà per tutte le classi, per tutte le scuole, per tutti i gradi di scuola, per tutto il Paese: precisa, tassativa, invalicabile, la quota resisterà ad ogni assalto. Ma dove, puta caso, la quota dovesse venire superata, come certamente avverrà in certe zone (non sempre periferiche) di Milano o in certi ordini di scuola, che si farà mai? Si importeranno ragazzi “italiani”, si esporteranno ragazzi ” stranieri” (non diciamo però, come è stato affermato, che si deporteranno: è un termine decisamente troppo grave e sproporzionato)? Si prenderanno un po’ di liceali e li si iscriveranno d’ufficio in certi istituti professionali (o viceversa) per “diluire” la concentrazione troppo forte di studenti provenienti da altre parti del mondo? O si metteranno i ragazzi “stranieri” in lista d’attesa, ordinando nel contempo ai loro genitori di non fare più figli perché altrimenti le liste d’attesa non si esauriranno mai? Il paradosso può far sorridere, ma dovrebbe servire anche a far riflettere.
L’impatto dell’immigrazione sull’insieme della scuola è certamente notevole e tendenzialmente crescente. I problemi che comporta non sono di immediata e facile soluzione: sarebbe ipocrita e sbagliato nasconderselo e le soluzioni vanno cercate, studiate e applicate con tenacia e coerenza. Ma solo chi legge la realtà con gli occhi dell’ideologia può credere che tali soluzioni possano consistere in misure allo stesso tempo rigide e approssimative; invece le disposizioni devono essere flessibili per adattarsi alle diverse situazioni e ben definite nella loro ispirazione e nella linea di tendenza. Anche rispetto alla composizione delle classi, se invece di pensare con intento punitivo a gabbie contenitive e a quote magiche e invalicabili, si ragionasse in termini concreti, con attenzione alle singole realtà socio-abitative, si potrebbero valorizzare alcuni contenuti positivi delle disposizioni del ministro, come ad esempio la composizione tendenzialmente più omogenea delle classi di una scuola o di scuole di una stessa zona; invece si costringeranno dirigenti e docenti a un frenetico tourbillon per trovare soluzioni e i figli degli immigrati a subire l’umiliante condizione di sgraditi pacchi postali spediti da una scuola all’altra.
Invece ciò che in ultima istanza serve per tutti - italiani, stranieri di prima e seconda generazione, ecc. – è un ben diverso approccio pedagogico e didattico, che rispetti le diverse culture e ne valorizzi gli apporti positivi e utilizzi nuovi strumenti e competenze, soprattutto nell’ambito dell’insegnamento linguistico. Gli esempi positivi nella scuola milanese non mancano di certo: in molte scuole elementari e medie ottimi insegnanti hanno sviluppato un’attività d’integrazione culturale di notevole valore; in alcune secondarie superiori, come ad esempio il Bertarelli e altri istituti professionali, la presenza massiccia di studenti di provenienza linguistica diversa dall’italiano ha fatto crescere la consapevolezza di dover e poter coniugare una nuova formazione linguistica con una pedagogia interculturale. In queste scuole risulta chiaro che lo studio della lingua non è un momento di potenziale discriminazione, ma è lo strumento di socializzazione e di cittadinanza più alto. Si tratta di esempi molto positivi, messi in atto, nonostante la scarsità di risorse, grazie a un approccio non fondato sull’astratta percentuale di ragazzi che non hanno il passaporto italiano, ma sulla concreta e corretta analisi della situazione data.
Vincenzo Viola

l'articolo sul sito di Arcipelago Milano

mercoledì 8 aprile 2009

Centrale, torneo di calcetto anti Gelmini

Per leggere l'articolo pubblicato oggi su Repubblica online cliccate sopra l'immagine:



Il link all'articolo

La scuola delle iniquità

Un articolo di Roger Abravanel, pubblicato sul Corriere della Sera di oggi

I test PISA dimostrano che il Sud è al livello della Thailandia, ma a pochi sembra importare

L'emergenza educativa della scuola italiana è sotto gli occhi di tutti, ma pochi sembrano preoccuparsene. La scuola italiana è spaventosamente iniqua come testimoniano i test PISA che evidenziano un gap spaventoso tra Sud e Nord. Le ricerche dell'OCSE sulle «competenze della vita» che si dovrebbero imparare a scuola (per esempio la capacità di comprendere e interpretare ciò che si legge sui giornali) dicono che solo il 20% degli italiani è al livello 3 (quello considerato accettabile in una società moderna) contro percentuali triple degli altri Paesi sviluppati. Senza tali competenze un Paese non progredisce e non nasce la coscienza civile. Il dibattito degli ultimi mesi sulla scuola si è concentrato interamente sulle risorse e non su come migliorare il livello della qualità dell’insegnamento.

Eppure cosa fare è abbastanza chiaro: basta osservare ciò che ha fatto l’Inghilterra negli ultimi 10 anni. Le leve da utilizzare sono quattro. La prima è la possibilità di avere esami nazionali e test standard che possano misurare obbiettivamente gli apprendimenti degli studenti in modo da rendere trasparente e responsabile la qualità dell'insegnamento che è l'unica vera variabile che conta, come dimostrano alcuni studi quali «how the best schooling systems come on top» («come si spiega la eccellenza dei migliori sistemi educativi») della Mckinsey. Ebbene noi siamo uno dei pochi Paesi sviluppati dove tali esami e test standard non esistono e la valutazione degli apprendimenti è lasciata unicamente alle scuole con criteri spaventosamente soggettivi (i PISA del Sud sono a livello dell’Uruguay e della Tailandia ma i voti degli insegnanti sono buoni, a livello di quelli del Nord). L'Invalsi, la struttura che dovrebbe concepire questi test sta faticosamente tentando di uscire dal commissariamento. Secondo, è essenziale la capacità di formare la maggioranza degli insegnanti sulla didattica, fornendo loro un feedback sulle loro esigenze di miglioramento e l'accesso «sul campo» ai colleghi migliori.

Da noi questa possibilità praticamente non esiste anche perché molti insegnanti non accettano aiuti sulla qualità della loro didattica da altri insegnanti migliori di loro. L'organo preposto a tale fine, l'Anasa sta anche esso tentando di uscire anche esso dal commissariamento e di ristrutturarsi. Terzo è necessaria una classe eccellente di ispettori che, in maniera indipendente, visitino le scuole periodicamente per rendersi conto della qualità e definiscano con i presidi i programmi di miglioramento e li controllino. In Inghilterra ci sono 1500 «ispettori di Sua Maestà» e in Francia 3000 ispettori del Ministero. Da noi sono solo 300 e non possono più ispezionare ma intervenire solo nei casi più gravi soprattutto quelli di tipo disciplinare. Quarto è essenziale rifondare la selezione degli insegnanti: in Finlandia e a Singapore dove ci sono le migliori scuole del mondo, gli insegnanti vengono scelti tra il 5% dei migliori laureati. Da noi passeranno 10 anni tra l'ultimo e il prossimo concorso che vedrà comunque una massiccia assunzione di «precari» e la creazione di uno spaventoso gap generazionale tra insegnanti. In conseguenza di tutto ciò, il sano principio della «autonomia della scuola» è una chimera: un preside non ha alcun potere nei confronti degli insegnanti e nessuna responsabilità perché non si può valutare obiettivamente la qualità dell’insegnamento nella sua scuola. Comunque, i finanziamenti pubblici arrivano indipendentemente dai risultati. Recuperare terreno è possibile ma le riforme della istruzione pubblica sono le più difficili. Le opposizioni sono enormi e di solito provengono in gran parte dai sindacati degli insegnanti che resistono a qualunque tentativo di misurazione obbiettiva della qualità dell’insegnamento e di inserimento di meccanismi di premi e punizioni. Eppure alcune riforme hanno avuto successo, come per esempio quella di Tony Blair che aveva come obbiettivi del proprio governo «education, education, education». Blair è riuscito a vincere le enormi resistenze perché aveva l'appoggio dei cittadini inglesi, soprattutto dei genitori degli studenti, stanchi di vedere il declino della qualità del proprio sistema educativo. In Europa la sensibilità dei cittadini sulla qualità della scuola sta crescendo: quando gli ultimi risultati PISA sono stati pubblicati sulla stampa, le mamme tedesche hanno iniziato a telefonare in Finlandia per capire le cause del gap con la Germania e il sito in francese dell’OCSE ha oscurato i mediocri risultati della Francia per timore di tensioni sociali.

Da noi invece questa coscienza civile è spaventosamente assente. Manca all'appello proprio la maggioranza degli italiani, quelli delle fasce sociali meno privilegiate che perdono le opportunità che la scuola offre ai loro figli di avere un futuro migliore del loro e la mettono all’ultimo posto tra le priorità. La preoccupazione principale è invece che i figli possano stare a scuola anche il pomeriggio e abbiano buoni voti, anche se questi ultimi non riflettono le reali capacità degli studenti. Quando l'attuale governo ha affrontato il problema degli sprechi della scuola, milioni di genitori hanno protestato contro il rischio di vedere sottrarre risorse con un danno alla «qualità». Ma, purtroppo, questa qualità, come abbiamo visto, oggi non è misurabile obbiettivamente data l'assenza di sistemi moderni di valutazione degli apprendimenti degli studenti. Nei Paesi come l'Inghilterra, che hanno affrontato seriamente le riforme dell’insegnamento, si è invece passati da una mentalità che dice «qui non funziona nulla, ma dateci le risorse e se abbiamo fortuna miglioreremo» a «le risorse arriveranno se ce le meritiamo, dimostrando che possiamo migliorare con misure obbiettive e trasparenti». Pochi peraltro sanno che non riusciamo a spendere tre miliardi di euro della UE a nostra disposizione per migliorare l’insegnamento soprattutto al Sud. Se gli italiani prenderanno coscienza dell’importanza di una scuola equa e di qualità, troveranno un potente alleato: una buona parte degli 800.000 insegnanti italiani che sono frustrati dalla mancanza di merito e dal declino della propria professione. Allora forse la politica si muoverà con il coraggio e l'impegno necessario.

Roger Abravanel
08 aprile 2009

il link all'articolo sul sito del Corriere

martedì 7 aprile 2009

Stangata sulle mense scolastiche: al via la protesta delle famiglie

Per leggere l'articolo pubblicato oggi su Repubblica online cliccate sopra l'immagine:



il link all'articolo

sabato 4 aprile 2009

Prof senza titoli e straordinari in nero nelle scuole private lombarde

Per leggere l'articolo pubblicato oggi su Repubblica online cliccate sopra l'immagine:



il link all'articolo

venerdì 3 aprile 2009

La Circolare sugli organici chiarisce (in buona parte) che fine fanno le compresenze, nelle classi ex modulo e nel tempo pieno

Milano, 03/04/2009
La Circolare sugli organici chiarisce (in buona parte) che fine fanno le compresenze, nelle classi ex modulo e nel tempo pieno
di Scuolaoggi

da www.scuolaoggi.org del 3.4.2009

Occorre dire che la Circolare ministeriale sugli organici docenti, CM n.38 del 2 aprile a firma del Capo Dipartimento del Miur Giuseppe Cosentino, è in un certo senso esemplare per chiarezza espositiva. Più chiara ancora, se possibile, dello schema di decreto interministeriale da cui prende le mosse. Se il dott. Cosentino era stato abbastanza puntuale nella sua esposizione durante la conferenza stampa del 31 marzo a Milano, qui le cose stanno scritte con ulteriore notevole precisione. Almeno per quanto riguarda la scuola primaria, di cui ci occupiamo in questo articolo.

Innanzi tutto viene richiamato, in premessa, il principio di fondo ispiratore di tutta la manovra. La consistenza delle dotazioni organiche a livello nazionale è stata definita - si dice (e già lo aveva ribadito a voce Cosentino) - in attuazione di quanto stabilito dall’articolo 64 del decreto legge n.112/2008 poi convertito in legge, L.133/2008. L’art. 64 ha quantificato in 42.000 posti le riduzioni da operare per l’a.s. 2009/2010. Si prevede di raggiungere questo obiettivo in due fasi, la prima con una riduzione di 37.100 posti in organico di diritto, la seconda di altri 5.000 in organico di fatto, a settembre. Il concetto comunque è ribadito con estrema chiarezza: “A conclusione delle operazioni di elaborazione dell’organico di diritto e dell’organico di fatto, debbono essere comunque raggiunti gli obiettivi finanziari di risparmio di cui al piano programmatico previsto dalla legge n.133/2008.” Imperativo categorico, dunque, e passaggio obbligato, per il Miur.

Come si arriva a questa riduzione di posti nella scuola primaria? Innanzi tutto con l’eliminazione del “modulo didattico” (legge n.148/1990) sul territorio nazionale. Se prima c’erano (sul 75% delle classi a livello nazionale) tre docenti ogni due classi, in rapporto quindi di 1,5 insegnante per classe, ora viene assegnato un solo docente, più uno “spezzone orario”, a partire dalle classi prime.

A questo proposito è da sottolineare l’assoluta novità dell’introduzione degli “spezzoni orari” nella scuola primaria. Nella circolare infatti sta scritto esplicitamente che “si prevede l’utilizzo anche nella scuola primaria degli “spezzoni orario” che, unitamente alle ore residuate dalla costituzione di altri posti e attività (compresi quelli dell’insegnamento dell’inglese), contribuiscono alla formazione di posti interi nell’ambito della stessa istituzione scolastica”. Occorrerà ritornare più ampiamente sulle implicazioni di questo principio nella scuola elementare, sul piano didattico e organizzativo (riaffermazione di fatto dell’istituto dell’insegnante di classe, o maestro unico e/o prevalente, più addentellati vari?…). Non solo, ma questo vuol dire che gli insegnanti di un plesso, per parte delle ore, possono venire utilizzati anche in plesso diverso, all’interno della stessa istituzione scolastica?

Per quanto riguarda comunque le classi prime, le risorse di organico vengono assegnate in ragione di 27 ore settimanali per classe (il sistema informatico quantifica la dotazione organica moltiplicando il numero delle classi per 27 e dividendo il risultato per 22, orario di lezione dell’insegnante elementare). Eventuali economie di ore, si dice, possono essere utilizzate per ampliare l’offerta formativa fino a 30 ore.
Nelle classi successive alla prima scompare il gruppo docente del modulo ma restano i quadri orari di 27 e 30 ore settimanali. Qui la dotazione organica è fissata in 30 ore per classe (l’organico calcolato dal sistema è determinato in questo caso moltiplicando il numero delle classi interessate – le classi che erano a modulo – per 30 e dividendo il risultato per 22).
E’ chiaro che in tutte queste classi a 27 e 30 ore, una volta a modulo, scompaiono definitivamente le compresenze. E’ qui che si realizza - in generale - una consistente riduzione di posti. Il rapporto insegnante/classe non è più di 1,5 ma si abbassa infatti notevolmente.

Per quanto riguarda il tempo pieno si conferma quanto il dott. Cosentino aveva preannunciato. Restano confermati “l’orario di 40 ore settimanali comprensive del tempo dedicato alla mensa, l’assegnazione di due insegnanti per classe e l’obbligo dei rientri pomeridiani”. Resta, ovviamente, il tetto della dotazione organica dell’a.s. 2008/09 che non può essere superata. E già si sa che (in Lombardia ma non solo) c’è un aumento di alunni iscritti e un aumento di richieste di tempo pieno e 40 ore…

E le compresenze? Nel caso specifico del tempo pieno si dice che “Le quattro ore residuate rispetto alle 40 settimanali (44 di docenza a fronte delle 40 di lezioni e di attività), comunque disponibili nell’organico di istituto, potranno essere utilizzate prioritariamente per l’ampliamento del tempo pieno sulla base delle richieste delle famiglie e, in subordine, per la realizzazione di altre attività volte a potenziare l’offerta formativa (compreso il tempo mensa per le classi che attualmente praticano i rientri pomeridiani).”
Un po’ più avanti, dopo aver affermato che l’istituzione scolastica, nell’esercizio dell’autonomia didattica e organizzativa prevista dal Dpr 275//99 (sic), articola il tempo scuola in modo flessibile, individuando le soluzioni più idonee per il migliore impiego delle risorse, si precisa che “le ore di insegnamento residuate dalla istituzione di classi a 24 ore e dalla presenza aggiuntiva di docenti specialisti per l’insegnamento della lingua inglese e della religione cattolica, nonché dal recupero delle ore di compresenza del tempo pieno possono essere impiegate per ampliare l’offerta formativa della scuola (a titolo esemplificativo: estensione del tempo pieno, modello orario settimanale delle 30 ore nelle classi prime, orario mensa nelle classi che adottano rientri pomerdiani).”

Un capolavoro di chiarezza, ripetiamo. Svelato l’arcano (se di arcano si può parlare). Adesso si capisce fino in fondo quale sarà l’utilizzo delle compresenze dei docenti del tempo pieno. Il decreto interministeriale (art.5) ribadisce che l’organizzazione di classi funzionanti a tempo pieno, con orario settimanale di 40 ore mensa inclusa, è realizzata nei limiti dell’organico assegnato per l’a.s. 2008/09 “senza compresenze” e che “le quattro ore di compresenza per classe sono utilizzate per la costituzione dell’organico di istituto” (a proposito: ma secondo autorevoli fonti sindacali, vedi ad es. una recente nota della Cisl scuola, il testo del Regolamento sul primo ciclo non era stato emendato, anche a seguito degli interventi sindacali, nel senso che “le maggiori disponibilità di ore (cioè le compresenze) rientravano all’interno dell’istituto”, quindi erano gestite direttamente dalle scuole e non erano strettamente finalizzate alla formazione dell’organico? Cosa è successo nel frattempo?).

La Circolare attuativa indica comunque con nettezza alcune modalità di utilizzo. Innanzi tutto le ore di compresenza dei docenti del tempo pieno (delle classi già avviate, per intenderci) andranno a coprire le ore necessarie per attivare nuove classi prime a tempo pieno (per rendere possibile l’espansione, appunto, di altre classi a 40 ore). Oppure a coprire l’orario restante per attivare classi prime a 30 ore. Poi serviranno per coprire il tempo mensa delle classi (ex modulo) già avviate, che effettueranno 30 ore di lezione. Ricordiamo, per inciso, che già oggi in molte scuole milanesi e lombarde l’orario effettivo delle classi a modulo in realtà non è di 27 o 30 ore, ma di 27 o 30 ore di lezione più il tempo mensa, quindi in pratica almeno di 30-33 ore di tempo scuola (a seconda dei rientri pomeridiani che, sul territorio regionale, sono comunque generalizzati, a differenza del meridione).

Per coprire il tempo scuola necessario (nuove classi prime a 40 ore, classi a 30 ore) vengono poi considerate anche le ore di contemporaneità che si “liberano” quando in classe c’è il docente specialista di inglese o quello di religione (se non ci sono alunni che svolgono le attività alternative…). Insomma tutte queste ore di contemporaneità, siano esse le compresenze dei docenti del tempo pieno o le ore di sovrapposizione con inglese o religione, sono utilizzate di fatto ai fini della costituzione dell’organico di istituto o dell’ampliamento (orario) dell’offerta formativa. Il passaggio è chiaro.

Ci resta qualche dubbio circa gli istituti scolastici (a Milano sono parecchi) che hanno solo classi a tempo pieno e che non hanno un aumento di classi rispetto allo scorso anno. Pensiamo ad esempio ad una scuola che ha 20 classi a tempo pieno (prime a.s.2009/10 incluse). Qui verranno assegnati 40 docenti, secondo il principio del doppio organico? E, in tal caso, come dovranno essere utilizzate le ore di compresenza, visto che il decreto esclude la permanenza delle compresenze anche all’interno tempo pieno? Dovranno essere utilizzate in via sistematica per le supplenze? Oppure si terrà conto – ai fini della costituzione dell’organico di istituto, appunto – del monte ore di compresenza degli insegnanti titolari di classe, unitamente a quelle di inglese e di religione, e si assegnerà alla scuola un numero minore di docenti (38-39) come già successe nelle scuole milanesi all’epoca della Moratti? Su questo punto il dott. Cosentino, nella conferenza stampa milanese, a domanda precisa, è stato sfuggente, rinviando all’esercizio dell’autonomia scolastica. Sì, obiettiamo noi, ma sulla base di quali e quante risorse?

Una cosa è certa. Il “gruppo docente” dei moduli è morto e sepolto (non aveva sentenziato così la Gelmini?) e il tempo pieno cambia natura. Scompare in altri termini il tempo pieno come modello pedagogico, all’interno del quale le compresenze erano elemento costitutivo ed essenziale (e su questo tema ritorneremo in maniera più approfondita). Resta l’opzione di un modello orario, di un tempo scuola di 40 ore settimanali. Più o meno come ai tempi della Moratti. Anzi peggio, se si pensa che qui l’obiettivo è la distruzione dell’organizzazione modulare, della cooperazione educativa e del gruppo docente.

Gianni Gandola




::ReteScuole::

Petizione popolare per una scuola pubblica, di qualità, per tutti, più sicura, autonoma e capace di futuro

Firmiamo tutti la petizione popolare per una scuola pubblica, di qualità, per tutti, più sicura, autonoma e capace di futuro, promossa dal Partito democratico:



Per firmare online

Il modulo per raccogliere le firme

31 marzo 2009

Grande partecipazione all'Assemblea Cittadina sul futuro della scuola dell'infanzia.




Leggi l'articolo

assemblea scuole materne - Repubblica.it » Ricerca






Qui trovi il testo della mozione approvata.

http://www.chiedoasilo.it/0/Mozione_31_03_09_modificata_e_votata.doc