martedì 14 aprile 2009

Il Tetto

Da Arcipelago Milan del 14/4/09o

IL TETTO
13-4-2009 by Viola
Il nuovo fronte delle battaglie ideologiche sulla scuola, che appassionano e ossessionano il ministro Gelmini, è costituito (si direbbe col linguaggio delle patrie battaglie) dalla quota 30. Infatti per salvare la scuola dalle orde barbariche dopo le classi ghetto (inattuabili) e dopo i maestri-spia (impresentabili) il ministro torna alla carica con una magica percentuale: in una classe di qualsiasi ordine di scuola mai ci dovrà essere più del 30% di ragazzi “stranieri”.
Si tratta, con tutta evidenza, di una sciocchezza, eticamente meno riprovevole delle due precedenti, ma ugualmente dannosa e foriera di gravi, inutili complicazioni per le famiglie e gli operatori scolastici. Infatti, stando alle prime indicazioni – ma è ormai chiaro che le disposizioni del MIUR non sono mai definitive, ma soggette a continui ripensamenti e variazioni – la “quota” varrà per tutte le classi, per tutte le scuole, per tutti i gradi di scuola, per tutto il Paese: precisa, tassativa, invalicabile, la quota resisterà ad ogni assalto. Ma dove, puta caso, la quota dovesse venire superata, come certamente avverrà in certe zone (non sempre periferiche) di Milano o in certi ordini di scuola, che si farà mai? Si importeranno ragazzi “italiani”, si esporteranno ragazzi ” stranieri” (non diciamo però, come è stato affermato, che si deporteranno: è un termine decisamente troppo grave e sproporzionato)? Si prenderanno un po’ di liceali e li si iscriveranno d’ufficio in certi istituti professionali (o viceversa) per “diluire” la concentrazione troppo forte di studenti provenienti da altre parti del mondo? O si metteranno i ragazzi “stranieri” in lista d’attesa, ordinando nel contempo ai loro genitori di non fare più figli perché altrimenti le liste d’attesa non si esauriranno mai? Il paradosso può far sorridere, ma dovrebbe servire anche a far riflettere.
L’impatto dell’immigrazione sull’insieme della scuola è certamente notevole e tendenzialmente crescente. I problemi che comporta non sono di immediata e facile soluzione: sarebbe ipocrita e sbagliato nasconderselo e le soluzioni vanno cercate, studiate e applicate con tenacia e coerenza. Ma solo chi legge la realtà con gli occhi dell’ideologia può credere che tali soluzioni possano consistere in misure allo stesso tempo rigide e approssimative; invece le disposizioni devono essere flessibili per adattarsi alle diverse situazioni e ben definite nella loro ispirazione e nella linea di tendenza. Anche rispetto alla composizione delle classi, se invece di pensare con intento punitivo a gabbie contenitive e a quote magiche e invalicabili, si ragionasse in termini concreti, con attenzione alle singole realtà socio-abitative, si potrebbero valorizzare alcuni contenuti positivi delle disposizioni del ministro, come ad esempio la composizione tendenzialmente più omogenea delle classi di una scuola o di scuole di una stessa zona; invece si costringeranno dirigenti e docenti a un frenetico tourbillon per trovare soluzioni e i figli degli immigrati a subire l’umiliante condizione di sgraditi pacchi postali spediti da una scuola all’altra.
Invece ciò che in ultima istanza serve per tutti - italiani, stranieri di prima e seconda generazione, ecc. – è un ben diverso approccio pedagogico e didattico, che rispetti le diverse culture e ne valorizzi gli apporti positivi e utilizzi nuovi strumenti e competenze, soprattutto nell’ambito dell’insegnamento linguistico. Gli esempi positivi nella scuola milanese non mancano di certo: in molte scuole elementari e medie ottimi insegnanti hanno sviluppato un’attività d’integrazione culturale di notevole valore; in alcune secondarie superiori, come ad esempio il Bertarelli e altri istituti professionali, la presenza massiccia di studenti di provenienza linguistica diversa dall’italiano ha fatto crescere la consapevolezza di dover e poter coniugare una nuova formazione linguistica con una pedagogia interculturale. In queste scuole risulta chiaro che lo studio della lingua non è un momento di potenziale discriminazione, ma è lo strumento di socializzazione e di cittadinanza più alto. Si tratta di esempi molto positivi, messi in atto, nonostante la scarsità di risorse, grazie a un approccio non fondato sull’astratta percentuale di ragazzi che non hanno il passaporto italiano, ma sulla concreta e corretta analisi della situazione data.
Vincenzo Viola

l'articolo sul sito di Arcipelago Milano

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